domenica 30 maggio 2010

Conchiglie

Come dire l’indicibile, esprimere l’inesprimibile? Si tratta di una domanda che ha tormentato da sempre gli artisti: una domanda già formulata tormentosamente da Van Gogh, che tentò in mille geniali maniere di superare un gap di espressività presente nell’arte da quando i pittori non avevano più sentito come lecito utilizzare la convenzione dell’aureola: quel cerchio d’oro risolveva il problema, alludendo e rendendo visibile l’indicibile. Ma perduta la convenzione dell’aureola, non ci resta, per dire l’incidibile, che un altro codice, quello simbolico.
Con ogni evidenza, questa è la scelta di Donna Rossella. Ci troviamo davanti, passando dall’una all’altra delle opere esposte, a un fitto richiamo di simboli, insieme paralleli e seriali. La loro prima funzione è di ordine esplorativo: come una testata esploratrice proiettata nell’ignoto, scrutano ed esprimono il senso di un’avventura spirituale, cogliendo una relazione che la ragione non può definire perché un termine le è noto e l’altro ignoto. Sono simboli misteriosi nel loro presentarsi e insieme nella loro polisemanticità: conchiglie. Nelle parole di un lirico greco, la conchiglia è “figlia della pietra e del mare biancheggiante”: queste conchiglie lo sono pienamente. Nella loro materialità, nella corposità immutabile di bassorilievo, richiamano la levigatezza ‘classica’ della pietra, il biancore eterno delle colonne dei templi al sole: sono l’emblema di una praticità calma, uguale, perfetta. Ma il loro candore richiama ineluttabilmente la schiuma marina, l’eterno movimento dell’acqua che si attorce in maree spiraliformi collegate alla luna della quale la spirale della conchiglia è simbolo evidente, come lo è, analogicamente, del sesso femminile. Le candide conchiglie adempiono allora alla seconda funzione che un simbolo adempie: quella di lanciare dei ponti, radunare elementi separati, collegare il cielo e la terra, la natura e la cultura, il reale e il sogno, l’inconscio e la coscienza. E, uniche fra gli oggetti del mondo umano, hanno una propria voce. Chi raccoglie una conchiglia compie un gesto istintivo: la porta all’orecchio per coglierne il misterioso brusio. Anche questa caratteristica si associa perfettamente alla sensibilità dell’artista: il messaggio, il sovrasenso, non è necessario urlarlo, a costo di perderne la suggestione e il fascino. Lo mormorano le conchiglie, appena portate all’orecchio.
E tanti sono i messaggi offerti, e ogni opera è paragonabile a un cristallo che restituisce la luce diversamente a seconda della sfaccettatura che la coglie. Le conchiglie nere sembrano insinuare un indizio di costruzione della femminilità attraverso un rapporto col padre freudianamente intuibile e profondamente emozionante. Quando invece sono bianche e armoniosamente e musicalmente disposte, evocano un’aspirazione alla forma, alla grazia felice, alla razionalità, che esemplifica la capacità femminile di fare ordine – e ordine estetico – nel caos. Persino la sintesi grafica di un sublimato suicidio possiede la perfezione ‘classica’ di un moto ondulante che non ha bisogno di parole per suggerire quanto lo sprofondare nella non – vita non sia, nel profondo, che un sì alla vita. Persino l’assenza è suggestiva quanto la presenza: l’assenza di una componente della progressione, sostituita dal suo profilo in nero, è così incisiva, così evocativa, da far nascere una vertigine di ambiguità conoscitiva: è presente la corporeità o il segno? O il segno è più corporeo della tattilità?
Ma, sintesi dei contrari, il simbolo ha una faccia diurna e una notturna: oscilla tra la positività e la negatività. Basta che ogni conchiglia, non meno bianca e armoniosa delle altre, presenti un personale sfregio, perché il piano della rappresentazione slitti, e la perfezione ferita parli un altro linguaggio. Basta che dall’armoniosa spirale coli una goccia di sangue perché ci sentiamo trasportati su un altro piano simbolico, e perché l’immagine di una femminilità compiuta e rasserenante mostri il suo doppiofondo, il radicamento nel sangue e nella carne, nelle viscere e nelle fasi lunari, nel sangue della nascita e nel sangue mestruale, in quell’evocazione potente e segreta che fa sobbalzare la regina di Biancaneve quando le gocce scarlatte nella neve le parlano della minaccia che la giovane principessa costituisce per la sua bellezza e insieme le promettono una sanguinosa, inappellabile soluzione.
Bianca come il latte, rossa come il sangue: ecco le polarità della complessità femminile, rappresentate con infinita suggestione nelle opere presenti in mostra. Rappresentate, evocate, non analizzate: perché il simbolo non può essere acquisito per riduzione progressiva a ciò che simbolo non è. Esiste invece proprio un virtù dell’elemento inafferrabile che lo fonda. La conoscenza simbolica che queste opere insinuano è una, indivisibile e fondata solo grazie all’intuizione dell’altro termine che esprime e insieme nasconde, e che solo la felicità speciale dell’artista ci trasmette. Rendendoci visibile l’invisibile, intuibile l’inconoscibile, decifrabile quanto ci suggerisce, nel suo sussurro misterioso, la segreta voce della conchiglia.

Spire


Psychoanalysis


Lively Party


The Collection


mercoledì 26 maggio 2010

martedì 25 maggio 2010

giovedì 20 maggio 2010

Who is Cassandra ?

In Greek mythology, Cassandra (Greek: Κασσάνδρα, "she who entangles men",[1] also known as Alexandra[2]) was the daughter of King Priam and Queen Hecuba of Troy. Her beauty caused Apollo to grant her the gift of prophecy. In an alternative version, she spent a night at Apollo's temple, at which time the temple snakes licked her ears clean so that she was able to hear the future. This is a recurring theme in Greek mythology, though sometimes it brings an ability to understand the language of animals rather than an ability to know the future.[3] However, when she did not return his love, Apollo placed a curse on her so that no one would ever believe her predictions. She is a figure both of the epic tradition and of tragedy, where her combination of deep understanding and powerlessness exemplify the tragic condition of humankind.
Apollo's cursed gift became a source of endless pain and frustration. In some versions of the myth, this is symbolized by the god spitting into her mouth; in other Greek versions, this act was sufficient to remove the gift so recently given by Apollo, but Cassandra's case varies. From Aeschylus' Agamemnon, it appears that she has made a promise to Apollo to become his consort, but broke it, thus incurring his wrath: though she has retained the power of foresight, no one will believe her predictions.
While Cassandra foresaw the destruction of Troy (she warned the Trojans about the Trojan Horse, the death of Agamemnon, and her own demise), she was unable to do anything to forestall these tragedies since no one believed her.
Coroebus and Othronus came to the aid of Troy out of love for Cassandra. Cassandra was also the first to see the body of her brother Hector being brought back to the city.
At the fall of Troy, she sought shelter in the temple of Athena, where she was violently abducted and raped by Ajax the Lesser. Cassandra was then taken as a concubine by King Agamemnon of Mycenae. Unbeknownst to Agamemnon, while he was away at war, his wife, Clytemnestra, had begun an affair with Aegisthus. Clytemnestra and Aegisthus then murdered both Agamemnon and Cassandra. Some sources mention that Cassandra and Agamemnon had twin boys, Teledamus and Pelops, both of whom were killed by Aegisthus.